15.09.2020
Un grano di nome Tanganrog 
Nella Treccani viene spiegato, con dovizia di particolari, che “le buone paste dell’Italia meridionale sono fabbricate soltanto con semolino di grano duro. Però, mentre un tempo, insieme con i grani duri di produzione locale, si usava il Taganrog russo e questo entrava per una forte percentuale nelle migliori paste (fino al 50% in quelle di Termini … Leggi tutto "Un grano di nome Tanganrog "

Un grano di nome Tanganrog 

Nella Treccani viene spiegato, con dovizia di particolari, che “le buone paste dell’Italia meridionale sono fabbricate soltanto con semolino di grano duro. Però, mentre un tempo, insieme con i grani duri di produzione locale, si usava il Taganrog russo e questo entrava per una forte percentuale nelle migliori paste (fino al 50% in quelle di Termini Imerese), dopo la guerra mondiale si è data la preferenza ai grani duri e semiduri nazionali – compreso fra i primi il Taganrog coltivato in Italia – e al grano duro russo si sono sostituiti quelli dell’America Settentrionale (Hard Winter, Durum, Manitoba)[i]”. Molti marchi centenari della zona di Torre Annunziata e Gragnano, raccontando la loro storia ricordano con orgoglio l’utilizzo di questa varietà di grano, già a partire dalla fine dell’Ottocento, spiegando che veniva miscelata, per ottenere una pasta di altissima qualità, con la qualità di grano proveniente dalla regione della Capitanata (Foggia). Vittorio Ferrandino e Maria Rosaria Napolitano, nel loro Storia d’impresa e d’imprese storiche (Franco Angeli), spiegano che “il grano Taganrog di alta qualità… era alla base del successo della pasta in Italia prima della grande guerra[ii]”.

Un mito che inizia a metà ‘800 – Tutto ebbe inizio a metà dell’Ottocento, quando nel porto di Taganrog – base della Marina imperiale russa, fondata da Pietro il Grande circa 1 secolo e mezzo prima – iniziano i commerci con i bastimenti che partono, alla volta di Napoli o d’Imperia, carichi di una pregevole qualità di grano (che prende il nome dal porto di provenienza) che tutti i pastai italiani volevano accaparrarsi. I commerci iniziano nel 1860 con 300 mila tonnellate, che diventano 1,6 milioni di tonnellate nel 1885 e 2,2 milioni di tonnellate nel 1890[iii].

Esistono molti documenti che testimoniano questo flusso, uno, curioso, è il diario di bordo del Brigantino Gottemberg che, il 1860, finisce per incagliarsi con il suo prezioso carico di grano: “Partito da Taganrog il giorno 3 Settembre alle ore 6 A.M. Col mio pieno carico di grano duro in Cetvert (unità di misura pari a 210 litri circa n.d.r.)  milletrecentosettanta ricevuto da quel Sig. F. Klissanich col vento da Est aria bella, mare moderato, e navigando con tutte le vele rombo SW correndo sopra un fondo fangoso il giorno 5 alle ore 2 A.M. In un istante ci trovammo investiti sopra il Banco Dolga in piedi 10.1/2 francesi d’acqua[iv]”. Il grano Taganrog copriva allora il 90% circa del nostro import, che ammontava dunque già a circa 2,5 milioni di tonnellate di grano duro. In quei decenni i commerci si fanno così stretti che alcuni italiani impiantano delle fabbriche di pasta (una decina in tutto), proprio nei dintorni del porto di Taganrog, in società con imprenditori locali.

Un russo che fece grande la pasta italiana – Nel primo decennio del Novecento la produzione della pasta nella zona di Torre Annunziata comincia a diventare una vera e propria attività “industriale”, dando lavoro a migliaia di persone. Un articolo pubblicato sull’Avanti! in quegli anni a firma di Oddino Morgari, spiega il ruolo della materia prima estera sulla nascita di questo business: “Torre Annunziata vive dell’industria della pasta. I grani le giungono dalla Russia su dei piroscafi; 300 lavoratori del porto – scaricanti, legatori, barcaioli, facchini, misuratori – mettono quei grani a riva; 500 mugnai li riducono in semola, in 14 grandi molini a vapore; 800 pastai trasformano questa semola in paste, in 54 pastifici…”. Stessa cosa accadeva, già da alcuni decenni, anche ad Oneglia, in Liguria, dove addirittura un’azienda si dota di propri velieri che 4 volte l’anno partono per andare a prendere, nel Mar d’Azov, il grano Taganrog , come anche documentato in una bella stampa di fine Ottocento, che di fatto racconta la stessa scena descritta nell’articolo dell’Avanti!: con sacchi di grano scaricati da facchini, barcaioli che li portano a terra e carri che li trasportano verso la fabbrica.

Un grano…rivoluzionario – Una curiosità su Taganrog. Anche Giuseppe Garibaldi, Primo ufficiale (scrivano) di bordo del brigantino Clorinda, tra il 1831 e il 1833 viaggio ripetutamente tra il porto del Mar d’Azov e quello di Marsiglia[v], trasportando grano duro. E fu proprio in un’osteria di quel porto che conobbe le persone giuste (l’esule Giovanni Battista Cuneo di Oneglia) con le quali maturò il progetto (la spedizione del Mille) che avrebbe reso possibile l’unificazione italiana.

 

 

[i] http://www.treccani.it/enciclopedia/pasta-alimentare_(Enciclopedia-Italiana)/

[ii] Storia d’imprese e d’impresa, a cura di Vittorio Ferrandino e Maria Rosaria Napolitano, Franco ANgeli

[iii] http://dante-rostov.ru/kulturnye-proekty/otnosheniya-rossiya-italiya/italia-e-il-sud-della-russia

[iv] http://www.museomarinaro.it/effemeride_dinverno_2013.htm

[v] http://www.museomarinaro.it/effemeride_dinverno_2013.htm