10.02.2022
I 5 effetti della lavorazione della pasta sulla tenuta “al dente”
Secondo una ricerca commissionata dai pastai italiani di Unione Italiana Food a DOXA, per 8 italiani su 10 la tenuta al dente è il primo fattore di qualità della pasta. E i nostri maggiori “timori” sono che in cottura la pasta “si rompa” (66%) o che “si attacchi” (59%). Ma chi pensa che questi fattori … Leggi tutto "I 5 effetti della lavorazione della pasta sulla tenuta “al dente”"

I 5 effetti della lavorazione della pasta sulla tenuta “al dente”

Secondo una ricerca commissionata dai pastai italiani di Unione Italiana Food a DOXA, per 8 italiani su 10 la tenuta al dente è il primo fattore di qualità della pasta. E i nostri maggiori “timori” sono che in cottura la pasta “si rompa” (66%) o che “si attacchi” (59%). Ma chi pensa che questi fattori dipendano solo dalla bravura del cuoco si sbaglia di grosso. Tutto comincia molto prima, nel pastificio, dove il pastaio progetta l’armonia perfetta… in punta di forchetta.

  1. PASTA ITALIANA, AL DENTE “PER LEGGE” – La pasta italiana si ottiene sempre a partire dalla semola di grano duro, la più tenace, che le permette di tenere la cottura e di restare sempre al dente. A tutela e difesa della nostra qualità, questa tradizione è diventata legge 54 anni fa. Altrove non è così: in molte parti del mondo si usa il grano tenero, che dà una pasta diversa per consistenza e tenuta in cottura. Ma ci sono anche altri limiti a garanzia della qualità del nostro prodotto simbolo. Per esempio, il colore, o il livello minimo di proteine e la qualità del glutine per trattenere l’amido e permettere quindi la proverbiale tenuta ‘al dente’. Per la legge di purezza, il tenore proteico deve essere di almeno il 10,5%. Ma i valori della pasta italiana sono oggi anche più alti.
  1. GRANO, DURO DI NOME… E DI FATTO – Tutto inizia dal grano duro, l’unico con cui in Italia si può fare e commercializzare la pasta secca. Che è “duro” di nome e di fatto: a differenza del grano tenero, la sua struttura è vitrea e non farinosa, il suo impasto non è troppo estensibile ma resta molto tenace. Proprio per questo, fin dall’antichità, la sua lavorazione non è quasi mai stata manuale ma realizzata con l’ausilio di macchine e strumenti. Facendo della pasta secca un prodotto in un certo senso “industriale” fin dalle origini, o quasi. L’evoluzione dei macchinari nei secoli (gramola a stanga, ingegno, torchio a trafila o idraulico, pressa meccanica continua…) racconta l’arte del pastaio e la complessità di un processo produttivo in cui i dettagli fanno la differenza.
  1. UN IMPASTO OMOGENEO E BEN IDRATATO – Idratazione, essiccazione e nuovamente idratazione. Semplificando all’estremo, dal pastificio alla tavola la pasta attraversa queste tre fasi, tutte determinanti per la sua tenuta in cottura. La prima idratazione avviene impastando acqua e semola. Assorbendo acqua, si forma il reticolo glutinico, che trattiene l’amido e assorbe fino al 200% del suo peso. Una idratazione buona e uniforme è fondamentale per ottenere un prodotto finito di qualità. In questa fase entrano in gioco tenore, tra le altre cose, l’elasticità del glutine, il contenuto proteico, le dimensioni delle particelle di semola (più sono grandi, più lento l’assorbimento di acqua), la temperatura dell’acqua per l’impasto (quella ottimale è di circa 35°C). Per rendere l’impasto omogeneo e togliere tutta l’aria, l’impasto avviene in due fasi e l’ultima si realizza sottovuoto. In questo modo le particelle di semola più piccole, con un eccesso di acqua, andranno più facilmente a contatto con quelle più grandi, che ne sono in debito. Inoltre, l’aria nell’impasto ne altererebbe il colore e formerebbe bollicine bianche.
  1. FORME UNIFORMI DELLA TRAFILA – Poi l’impasto viene compresso e spinto in modo uniforme e con la pressione giusta sulla trafila. Un impasto con la giusta consistenza, compatto e senza grumi mantiene il reticolo proteico più ordinato e uniforme. Proprio come una rete da pesca a maglie strette e senza buchi.

 

  1. LA GRADUALE ELIMINAZIONE DELL’ACQUA – Quando passa attraverso la trafila, la pasta ha ancora un’umidità pari a circa il 30%, ma per essere messa in commercio deve calare al di sotto del 12,5% per legge. Un essiccamento perfetto deve essere uniforme su tutta la superficie e soprattutto tra esterno e interno della pasta, per evitare che poi si rompa nel pacco o in cottura o che resti poco tenace in bocca. È un processo di durata variabile e in più momenti, intervallati dalle cosiddette pause di rinvenimento, durante le quali le molecole d’acqua hanno il tempo di redistribuirsi all’interno del prodotto. È uno dei passaggi più critici, ma i pastai italiani sono maestri nella delicata regolazione delle temperature e della ventilazione delle stanze di essiccazione della pasta.